Per occuparsi di parità di genere è importante lavorare su modalità organizzative di gestione della genitorialità in grado di affrontare questo evento non come un problema, ma come un evento win win per i neogenitori e per l’azienda. L’equità tra uomini e donne sui luoghi di lavoro passa anche da come questa scelta così importante viene affrontata prima, durante e dopo in termini di approccio ma anche di implementazione di politiche e strumenti utili a favorire ambienti di lavoro sempre più inclusivi.
A che punto siamo oggi? Sfortunatamente la situazione non è delle migliori e per descriverla partiamo da un’immagine molto suggestiva: un muro. Possiamo parlare, infatti, di «muro della maternità» un’espressione coniata da Swiss e Walker nel 1993 per indicare come la maternità sia il punto nodale attorno al quale si articolano scelte di vita e decisioni professionali delle lavoratrici.
Purtroppo questa metafora è valida ancora oggi. Spesso alle donne viene richiesto di fare una scelta: essere una brava madre oppure essere una brava professionista. Quel muro con cui viene rappresentata la maternità è tenuto insieme da numerosi stereotipi e pregiudizi che pesano sulle donne con e senza figli (ma vedremo, anche sugli uomini) collegati alle competenze e alla produttività. In questo quadro, lavoro e maternità appaiono ancora come aspetti inconciliabili o comunque difficilmente integrabili.
A conferma, citiamo tre dati:
- 1 donna su 5 lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio e spesso questa scelta implica un abbandono definitivo del mercato del lavoro; la motivazione più frequente di questo abbandono continua ad essere la difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze di cura. In questo quadro, ben descritto dal Rapporto Plus 2022 di INAPP a cura di Francesca Bergamante e Emiliano Mandrone, la pandemia non ha aiutato, anzi ha acuito una fatica già presente da prima.
- In Italia, secondo il dossier della Camera dei Deputati dal titolo “L’occupazione femminile”, il tasso di occupazione delle donne con un figlio fino a 6 anni non arriva al 54%, mentre il tasso di occupazione delle lavoratrici senza figli sale al 74%.
- Un altro dato importante, inserito sempre nel Rapporto Plus 2022 di INAPP, è questo: soltanto il 6,6% delle donne trova lavoro dopo essere diventata madre.
Ma c’è di più. Per chi riesce a restare nel mercato del lavoro, l’integrazione dell’identità genitoriale con quella professionale non è facile: non è un caso che le madri lavoratrici vengano chiamate “funambole, equilibriste e acrobate”, in un contesto come quello italiano dove la disponibilità di servizi per la cura, come ad esempio gli asili nido, è carente e in cui diventa molto difficile conciliare vita e lavoro. Si tratta certamente di una questione urgente dal punto di vista sociale che necessita di essere trattata innanzitutto a livello istituzionale, ma per cui le aziende possono giocare un ruolo importante.
L’importanza degli strumenti per favorire la conciliazione vita-lavoro in azienda
Le politiche aziendali di gestione della genitorialità possono dunque fare la differenza. Ci sono diversi strumenti che le aziende possono adottare per favorire la conciliazione del doppio ruolo, personale e professionale, dei neogenitori e creare ambienti sempre più inclusivi con attenzione alle questioni di genere:
- Politiche sugli orari e i luoghi di lavoro: possibilità di attivare part-time, banca delle ore, flessibilità in entrata e in uscita, smartworking;
- Servizi di cura: asili nido, centri estivi, baby sitting da implementare direttamente nella sede aziendale o attraverso la stipula di accordi esterni;
- Politiche di conciliazione e sostegno economico per neogenitori: agevolare congedi parentali (inclusi quelli per i padri) ma anche trasferimenti monetari come assegni e/o agevolazioni fiscali;
- Attività di supporto al rientro dal congedo di maternità o paternità: attraverso la strutturazione di percorsi specifici rivolti a neomamme ma anche a neopapà come colloqui, formazione specifica e tutoring.
Importante soffermarsi in particolare su questo ultimo punto, in generale poco valorizzato ma fondamentale per una gestione virtuosa della genitorialità in azienda (fonte: Girelli L., Mapelli A., Genitori al lavoro, Guerini, 2016). Diventare genitori è un cambiamento che necessita di un nuovo equilibrio a livello personale e professionale, pertanto è necessario pianificare attività di supporto per facilitare il rientro al lavoro dei neo-genitori, offrendo spazi di ascolto, di confronto e formazione, in modalità one-to-one o in aula, come i percorsi che abbiamo disegnato per un istituto bancario e per una multinazionale leader del mercato farmaceutico dedicati proprio alla genitorialità e il rientro al lavoro.
Purtroppo però la messa a disposizione degli strumenti non sempre basta per garantirne l’efficacia. Un esempio è l’utilizzo del congedo obbligatorio da parte dei padri. Gli ultimi dati Inps, rilevano che solo il 33% dei neopapà ha goduto del diritto di assentarsi dal lavoro subito dopo la nascita e solo il 22% ha utilizzato il congedo parentale. Oltre a questo, alcune aziende hanno ampliato i giorni di congedo per i papà, ma il reale utilizzo è stato molto basso. Quindi se c’è la possibilità perché generalmente non viene utilizzata? Una possibile risposta sullo scarso utilizzo dei congedi da parte dei papà è da ricondurre ad un pericoloso luogo comune: non trovando dei giustificati motivi di natura biologica, la richiesta del congedo di paternità potrebbe essere considerato come una scelta assolutamente volontaria e come tale potrebbe far etichettare i lavoratori come meno motivati e ingaggiati. Questo dimostra che parallelamente alla messa a disposizione di strumenti, occorre anche lavorare sulla sensibilizzazione culturale.
Genitorialità e work-life integration: i punti focali sui quali le organizzazioni dovrebbero concentrarsi oggi
Per costruire una cultura della parità in azienda è dunque necessario gestire la genitorialità in modo sistemico attraverso una doverosa sensibilizzazione e pratiche di conciliazione vita-lavoro. Non solo. Conciliare vita privata e professione è anche una leva importante per favorire ambienti di lavoro sempre più diversificati, equi e inclusivi e il benessere di lavoratrici e lavoratori, tema approfondito da una prospettiva multidisciplinare nel numero 11 dei quaderni di Fondazione Marco Vigorelli dal titolo, appunto, “Conciliazione famiglia-lavoro come leva per la Diversity Equity & Inclusion”.
Come devono essere le pratiche di conciliazione per essere efficaci? Prendendo spunto da un articolo molto interessante di Camilla Gaiaschi abbiamo riassunto le caratteristiche principali in tre punti focali che si concentrano sul concetto di utilità delle prassi, sull’importanza della loro comunicazione e sulla percezione in quanto percepiti come diritti da parte dei lavoratori e delle lavoratrici.
- LE PRATICHE DI CONCILIAZIONE DEVONO ESSERE UTILI.
In molte aziende le pratiche e gli strumenti di conciliazione non vengono usati semplicemente perché non sono davvero utili. Non mancano i casi di aziende che hanno promosso la creazione di nidi aziendali per poi dover sostituire il servizio con un voucher perché il servizio non veniva usato. La motivazione principale è da ricercarsi nella mancanza di un’accurata analisi dei bisogni volta a individuare le reali esigenze dei e delle dipendenti. - LE PRATICHE DI CONCILIAZIONE DEVONO ESSERE CONOSCIUTE.
Le pratiche attivate spesso non vengono utilizzate perchè non sono comunicate in maniera efficace. A volte le aziende non investono le risorse necessarie nella comunicazione interna e non riescono a comunicare in maniera efficace la possibilità di usufruire dei programmi, strumenti, servizi di conciliazione. L’effetto è che i/le dipendenti non usufruiscono delle opportunità a disposizione perché semplicemente non le conoscono. - LE PERSONE DEVONO «SENTIRSI IN DIRITTO» DI USUFRUIRE DELLE PRATICHE DI CONCILIAZIONE.
Può accadere che i beneficiari e le beneficiarie non usufruiscano delle pratiche di conciliazione disponibili perchè pensano di non averne veramente diritto. Questo succede quando l’organizzazione appare o viene percepita come poco inclusiva o poco incline pronta a dare piena cittadinanza a tutti e tutte, come succede con i congedi di paternità, su cui pesa un radicato pregiudizio, come approfondito proprio nel secondo paragrafo di questo articolo.
Questo terzo punto necessita un doveroso approfondimento. Quali sono le possibili cause per cui non ci si sente in diritto di beneficiare delle pratiche di conciliazione?
La prima riguarda il timore di conseguenze negative. Numerose ricerche hanno evidenziato l’incompatibilità tra politiche di work-life integration e progressione di carriera. Chi ambisce a una crescita all’interno dell’azienda è infatti disincentivato/a ad usare i programmi di conciliazione per paura di penalizzazioni o addirittura marginalizzazioni (Gaiaschi, 2013).
La seconda si può individuare nel ruolo delle figure manageriali. Esiste un’ampia letteratura sull’importanza dei e delle manager nel sostenere o impedire l’utilizzo delle pratiche di conciliazione a collaboratori e collaboratrici: in molti casi, il rapporto, il confronto e dialogo risultano elementi importantissimi per la serenità e il benessere dei lavoratori.
Per concludere, non dobbiamo sottovalutare la natura genderizzata delle politiche di conciliazione vita-lavoro. Se in azienda c’è una cultura diffusa che attribuisce all’uomo la carriera e alla donna la cura, ne consegue che la conciliazione vita-lavoro viene vista come una «questione» puramente femminile sebbene l’utilizzo del part-time, solo per citare un esempio, sia uno strumento aperto sia a uomini che a donne ma nei fatti, come sottolinea Camilla Guaiaschi nell’articolo sul blog 27esimaora, rimane una modalità lavorativa prettamente femminile.
Identità plurali e cultura dell’inclusività: un passo avanti
Questo approfondimento sulla gestione della genitorialità come leva importante per assicurare equità e benessere in azienda dimostra, ancora una volta, l’urgenza di occuparsi di questo tema tra i più caldi nelle agende HR e non solo. Come già evidenziato in un paper disponibile per il download gratuitamente nella sezione dedicata di questo sito, la genitorialità è un evento che, se ben gestito, può entrare a far parte dei naturali processi aziendali come la job rotation o un’esperienza all’estero e un ottimo banco di prova in cui sperimentare i vantaggi dell’ascolto della diversità.
Una delle più grandi e importanti sfide che oggi le aziende si trovano ad affrontare è proprio quella di creare organizzazioni sempre più inclusive. Per costruire una cultura dell’inclusività a tutto tondo, che possa veramente fare la differenza, un passo importante è quello di riuscire a dare risposte concrete (e non di facciata) ai bisogni di integrazione e armonizzazione dell’identità lavorativa e di quella personale e familiare. Si tratta, infatti, di bisogni primari e fondamentali delle persone, siano esse madri, padri – o perché no – anche giovani che pur non avendo figli esprimono una forte necessità di conciliazione.
Articolo di Adele Mapelli