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Un approccio al futuro. Dal 1972. 

“Lo sviluppo sostenibile rappresenta la sfida dei nostri tempi” scriveva Ban Ki Moon nel 2014, quando era ancora in carica come segretario generale delle Nazioni Unite. 

A diversi anni di distanza, la sfida è ancora in corso e solo da qualche tempo la sostenibilità è diventata una sorta di imperativo per aziende, economie ed istituzioni. 

Ma l’esordio della parola “sostenibilità” risale a molto prima della dichiarazione di Ban Ki Moon. 

Correva l’anno 1972 quando il Club di Roma, un’associazione non governativa di scienziati, economisti, imprenditori, attivisti e alti dirigenti pubblici internazionali, pubblicava “The limits to growth”, un rapporto giudicato premonitore da alcuni e catastrofista da molti altri.  

Sulla base delle prime simulazioni computerizzate, il Club descriveva lo stato delle risorse della Terra facendo una previsione sul futuro. Tra i passaggi fondamentali del rapporto, ce n’è uno particolarmente famoso perché estremamente esplicativo: “[…] il pianeta è limitato, e lo sviluppo economico e soprattutto sociale non può proseguire molto a lungo senza andare a scontrarsi con i confini fisici del Pianeta”. 

Dopo qualche mese da questa incredibile pubblicazione l’ONU organizzava a Stoccolma la prima conferenza sull’ambiente introducendo, in quell’occasione, il termine “sostenibilità”.  

Ma in cosa consiste veramente lo sviluppo sostenibile? 

Lo sviluppo sostenibile è un approccio al futuro, è una presa di responsabilità rispetto a come sarà la vita sulla Terra nei prossimi anni. 

Lo sviluppo sostenibile non riguarda solo la questione ambientale, ma anche le condizioni sociali e gli attuali sistemi economici. 

Esistono infatti tre dimensioni che lo caratterizzano a 360 gradi e sono: 

Sostenibilità ambientale: è la capacità di mantenere e preservare la qualità e la riproducibilità delle risorse naturali.​ È sicuramente la dimensione più conosciuta tanto che spesso viene considerata come l’unica modalità di essere sostenibili. 

Sostenibilità sociale: è la capacità di garantire condizioni di benessere equamente distribuite per classi, genere ed etnie.​ È la dimensione che si fa carico delle opportunità sociali in tema di salute, istruzione, sicurezza, democrazia, partecipazione e giustizia.​ 

Sostenibilità economica: è la capacità di generare reddito e lavoro per tutti in modo duraturo.​ È la dimensione che assicura un accesso equo alla prosperità senza incidere sull’esaurimento delle risorse naturali.  

I dati sulle emergenze di oggi. 

Mettiamo subito le carte in tavola: siamo di fronte a un’emergenza climatica, sociale ed economica. Insomma, un’emergenza che riguarda tutti gli aspetti della sostenibilità.  

I numeri ci confermano questa evidenza.  

Eccone solo alcuni che raccontano la situazione in corso:   

  • quasi il 40% della superficie terrestre è destinata ad attività agricole, ma negli ultimi 40 anni il 30% dei terreni è diventato improduttivo a causa delle coltivazioni intensive (Food Sustainability Report, 2017) 
  • il settore industriale dell’UE è responsabile del 20% delle emissioni di gas serra nel territorio europeo, nel 2020 la percentuale è scesa al 10% solo per effetto della pandemia da Covid-19 (EU Climate Action Progress Report 2020), 
  • circa 720 milioni di persone nel mondo vivono con meno di 1,90 dollari al giorno (dato in costante aggiornamento su World poverty clock). In Italia quasi il 44,4% degli individui residenti nel Mezzogiorno è a rischio di povertà o esclusione sociale (fonte ASviS). 

La sostenibilità aziendale: dalla Corporate Social Responsibility alle Società Benefit. 

Le aziende non sono nuove a questo genere di tematiche.  

Nel 1953 l’economista americano Howard R. Bowen pubblicò il libro dal titolo “Social Responsibility of Businessman”: una disamina su quanto fosse lecito aspettarsi dal settore privato un impegno in termini di responsabilità nei confronti della società e dell’ambiente.  

Da qui in poi si aprì un lungo dibattito che portò alla formalizzazione di quella che oggi chiamiamo Corporate Social Responsibility (CSR). 

La CSR ha avuto il merito di introdurre nelle aziende alcune pratiche per restituire alla società il valore ricavato dal business. Nel corso degli anni, però, questo approccio sembra essersi svuotato a vantaggio di campagne marketing finalizzate al solo posizionamento del brand.  

Termini come greenwashing e socialwashing sono diventati il campanellino di allarme di questa distorsione. 

Dire che la filantropia e la CSR abbiano fallito è iperbolico, ma bisogna anche riconoscere che gli sforzi fatti fin qui non sono bastati. 

A questo punto la domanda sorge spontanea: è davvero possibile coniugare profitto e bene comune? 

Per molti esperti la risposta è sì.  

Nel 2011 due ricercatori e consulenti americani, Michael Porter e Mark Kramer, introdussero nel lessico organizzativo di tutto il mondo la locuzione di “valore condiviso” e un nuovo modello che prende il nome di Corporate Shared Value (CSV). 

Per molto tempo la responsabilità di impresa è rimasta fuori dal perimetro del profitto.
Il modello del CSV cambia l’ordine delle cose creando un’interdipendenza tra il successo aziendale e quello della società, tra le opportunità di business e la risoluzione di problemi sociali, ambientali ed economici.  

Ancora più pragmatica è la svolta che ha preso piede negli USA a partire dal 2010 quando nel Maryland venne istituita una nuova forma giuridica aziendale: le Società Benefit che rappresentano un’evoluzione del concetto stesso di azienda perché esplicitano nel proprio statuto, oltre agli obiettivi di profitto, lo scopo di avere un impatto positivo sulla società e sull’ambiente. 

Le Società Benefit sono una sorta di ibrido tra una società profit e un’organizzazione non profit, sono aziende con un double purpose: il profitto e il bene comune. La forma giuridica ad hoc blinda entrambi gli obiettivi e li mette sullo stesso piano d’importanza e d’investimento. In altre parole, per le Società Benefit la sostenibilità diventa parte del business e non rischia di scomparire dalle agende in tempi di crisi.   

Un’azienda è sostenibile se… 

Ad oggi non esiste uno standard unico in grado di misurare le performance di sostenibilità di un’azienda sia riguardo i precessi sia riguardo ai prodotti e/o servizi. 

Questo gap ha dato il via al proliferare di varie forme di certificazioni più o meno attendibili che mettono in confusione chi in azienda si occupa di dare conto sul tema. 

In linea generale, una realtà organizzativa è sostenibile se incarna la sostenibilità a tutti i livelli.

Governance
L’etica, la responsabilità e la trasparenza devono entrare a far parte dello statuto ed essere condivisi dagli organi di governo. Gli obiettivi, la compliance e la competitività devono essere costruiti a partire da una visione di business sostenibile.  

Produzione 
Le aziende sono sostenibili nella misura in cui creano prodotti e servizi sostenibili.
Tutte le fasi del processo produttivo, dalla scelta delle materie prime alla distribuzione, devono essere costruite con la logica della circular economy minimizzando l’impatto sui contesti in cui l’azienda opera. Creare opportunità per le comunità locali e ridurre l’impronta su aria, clima, acqua, terra e biodiversità sono i must. 

Relazione con i clienti
Marketing etico, privacy, sicurezza dei dati e canali di feedback sono le componenti che rendono la relazione con i clienti autentica, trasparente e duratura. I consumatori sono sempre più sensibili a questi valori e da essi si lasciano guidare nelle scelte di acquisto. 

Gestione delle Risorse Umane
Retribuzione e sistemi di valutazione equi e trasparenti, formazione, inclusione, valorizzazione delle diversità, trasparenza nelle comunicazioni, flessibilità, sicurezza sul lavoro: sono queste le direttive per creare un impatto sostenibile su tutta la forza lavoro, aumentare l’ingaggio e la retention. 

 

La tua azienda come si posiziona di fronte alla sfida della sostenibilità?
Quali azioni ha attivato o vuole attivare?
Per altre ispirazioni sul tema, guarda cosa abbiamo fatto in Novartis e leggi un approfondimento.

 

Articolo di Elena Grandinetti

Kokeshi coloured HR