Ci sono epoche così difficili ed inesplorate che si fatica a trovare le giuste parole per definirle. Ci sono tempi caratterizzati da fenomeni talmente imprevedibili che sono necessari nuovi paradigmi per affrontarli. È proprio l’epoca che stiamo vivendo, l’epoca che ci chiama all’antifragilità.
Dal 2020 col diffondersi della pandemia da Covid-19 abbiamo avuto bisogno di nuovi strumenti di lettura per una realtà divenuta gradualmente sempre meno comprensibile.
Pandemia significa ‘di tutte le persone’ (dal greco pân ‘tutto’ e dêmos ‘popolo’) e indica un fenomeno così vasto da abbattere confini geografici e psicologici da affrontare con chiavi di lettura inedite.
Abbiamo cercato le parole per raccontare ciò che succedeva, come individui, come società e, di conseguenza, anche come aziende, in costante e affannosa ricerca di una cornice di significato e di un linguaggio all’altezza per gestire quel pân che ci travolgeva.
Dal 2020 fino ad oggi tra le parole che sono rimbalzate maggiormente sui social, nelle intenzioni e nei webinar delle aziende, ce n’è una che abbiamo imparato a conoscere: antifragilità.
Il concetto di antifragilità approda sui media qualche anno prima della pandemia, e più precisamente nel 2014 quando un lettore del Corriere della Sera lo cita in una lettera indirizzata a Italians, la rubrica curata dal giornalista Beppe Severgnini. Il termine, contrapposto a quello ben più conosciuto di resilienza, viene spiegato come “la proprietà di un sistema che maltrattato, scosso, sollecitato, non ritorna semplicemente allo stato iniziale ma si modifica diventando più forte”.
Se in quella lettera il concetto di antifragilità viene usato per una sofisticata interpretazione della società italiana, sei anni dopo entra a gamba tesa nel linguaggio comune come paradigma necessario per affrontare una pandemia globale.
Un cigno nero che ci obbliga a cambiare
L’ideatore del paradigma ‘antifragilità’ è Nassim Nicholas Taleb, matematico e filosofo di origini libanesi, classe 1963 e una storia molto interessante. Dopo aver passato più di vent’anni come analista finanziario a studiare il rischio che si verificassero eventi avversi nei mercati azionari, arriva ad una conclusione: la predittività è inutile in un mondo complesso come il nostro, dove l’imprevisto è all’ordine del giorno.
Era il 22 aprile del 2007 quando Nassim Taleb firmava per il New York Times l’illuminante articolo: The Black Swan: the impact of the high improbable .
Ma cosa lega un cigno nero all’imprevedibilità dei mercati?
Si tratta di una metafora mutuata dalla storia. Fino al 1700 infatti gli europei erano convinti che tutti i cigni fossero bianchi, una vera e propria certezza che si è però infranta nel momento in cui si scoprì, durante un fortuito attracco in Australia, che esistevano anche cigni di colore nero.
I ’cigni neri’ per Taleb sono quegli eventi impossibili da prevedere, la prova tangibile che che sappiamo (o che pensiamo di sapere) è strettamente limitato dall’esperienza passata, e dunque la nostra conoscenza è fragile.
Come rispondere, allora, alla complessità sociale, economica e sanitaria crescente se l’esperire non ci permette di prevedere? Qui sta il colpo di genio del filosofo libanese che rovescia il paradigma sostenendo che sia più efficace prepararsi all’imprevisto piuttosto che prevedere il verificarsi di un ‘cigno nero’.
La sfida secondo Taleb è quella di allenare i sistemi sociali ed economici ad essere antifragili invece che formarli a prevedere l’imprevedibile. Un’ intuizione semplice quanto geniale e dissacrante per un contesto, come quello occidentale, abituato da decenni anni a glorificare il modello di homo oeconomicus, evolutosi proprio per pianificare e prevedere il futuro.
Antifragilità come antidoto al ‘one best way’
Il significato di ‘antifragile’ viene approfondito da Taleb in Antifragilità, l’ultimo libro della “Trilogia dell’incerto”, come la caratteristica che ci permette di stare nel caos, nell’imprevedibilità continua e prosperare senza opporsi ad essa. Ciò che è antifragile evolve se esposto al caso, al disordine e ai fattori di stress. I sistemi antifragili amano il rischio e l’incertezza. Non temono di sbagliare anzi apprendono sbagliando, amano sperimentare e fare.
Il concetto di antifragilità nasce come opposto del concetto di fragilità: fragile è ciò che è troppo strutturato e consolidato, antifragile ciò che invece è in grado si trasformarsi di fronte a eventi inaspettati. Ma cosa significa essere fragile o antifragile? Ecco qualche esempio.
Sono fragili i sistemi cavillosi e burocratici, antifragili all’opposto i sistemi micro-imprenditoriali. Fragili sono i modelli educativi con genitori-controllori che pianificano agende incastrate e fittissime, antifragili i capi che danno delega e fiducia ai team.
Un paradigma ben conosciuto a chi si occupa di fenomeni sociali e complessità, inedito e innovativo se lo pensiamo applicato in ambito aziendale, dove capacità previsionale e predittività erano sempre state considerate funzioni imprescindibili per prepararsi agli urti.
Taleb, in armonia con molti altri studiosi di complessità, ha dato definitivamente una spallata all’idea di solidità dei sistemi che non si trasformano, evidenziando la fragilità del pensiero ‘one best way’ e permettendoci di andare oltre quel concetto di resilienza che ha dominato le teorie manageriali a partire dagli anni ’60.
Le teorie della complessità ci hanno anche ispirato per uno dei format #colouredHR tra i più richiesti: il Complexity Game, che allena a gestire imprevisti, attivare il pensiero creativo e il problem solving, grazie alla serious gamification e alla giusta dose di divertimento.
Andare oltre la resilienza
La resilienza negli ultimi decenni si è trasformata in qualità organizzativa, ci ha accompagnato quasi come un mantra in azienda (e non solo) per definire la capacità necessaria di affrontare il cambiamento.
Da mantra a parola chiave che abbiamo ritrovato nel post pandemia anche come concetto cardine del PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Ma, alla luce della teoria dell’antifragilità, il concetto di resilienza non basta più: non basta, infatti, saper ritornare allo stato originario dopo un urto. Come dimostra Taleb ciò che è resiliente resiste agli shock ma rimane identico a sé stesso, ciò che è antifragile, invece, è in grado si trasformarsi, migliorarsi, evolversi in un altro stato e progredire.
Essere antifragili significa:
- riuscire a stare in un contesto che cambia, dove la prevedibilità è bassa, e il controllo è sfuggente;
- non andare in ansia di fronte ai cambiamenti improvvisi, ma imparare ad accettarli;
- imparare a gestire gli imprevisti attraverso l’allenamento,
- apprendere continuamente.
È necessario dunque allenarsi a gestire l’imprevedibilità continua attraverso un metodo efficace e stimolando esperienze, come abbiamo fatto insieme a diverse aziende, prima, durante e ancora oggi dopo la pandemia.
Attorno al termine antifragilità abbiamo costruito percorsi di formazione, come il road show disegnato per Microsoft, la formazione online sulle competenze del futuro in Novartis o il recente ciclo di webinar rivolti ai nuovi talenti digitali di uno dei più grandi gruppi bancari italiani. L’antifragilità è anche nelle nostre proposte di consulenza manageriale per allenarsi e costruire sistemi altamente imprevedibili.
L’antifragilità è preziosa e possiamo considerarla come un antidoto per rispondere alle sfide del presente e del futuro e per “vivere felici anche in un mondo che non si comprende”, come direbbe Taleb.
Articolo di Anna Cazzulani